LA SCIENZA DELLA LEGISLAZIONE - I
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aspetti, sarebbero inutili nelle aristocrazie e nelle monarchie, nelle quali
il popolo non è che suddito.
Siccome nelle democrazie il potere supremo è tra le mani della
nazione intera; siccome la sovranità, racchiusa altrove tra le mura d’un
palazzo, non si rappresenta in questi governi che nella piazza pubblica;
siccome finalmente, dove il popolo regna, ogni cittadino è niente da sé
solo, ma è tutto unito agli altri; non vi | vuol molto a vedere come il
primo oggetto delle leggi in questi governi sarà di regolare le assemblee
e di stabilire il numero e la condizione de’ cittadini che debbono
formarle; regolamento che, trascurato in Roma, fu, come si sa, la causa
feconda di tanti disordini.
Nelle monarchie e nelle aristocrazie la semplice cittadinanza non è
che un beneficio; ma nelle democrazie è una parte della sovranità.
Nelle due prime, un uomo che s’investe di questo carattere non fa che
partecipare a’ vantaggi che vi sono uniti; ma nell’ultima è un intruso,
che si mescola nell’assemblea del popolo per alzare una mano, per dare
una voce, dalla quale può dipendere la rovina della repubblica. Ne’
governi popolari dunque la legge deve essere più vigilante ad evitare
questo disordine; più avara nell’accordare la cittadinanza; più austera
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nel punire colui che se ne è fraudolentemente investito .|
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In Atene la cittadinanza non si poteva dare che dal popolo intero e questa
doveva esser ratificata da una seconda assemblea, nella quale dovevano
almeno intervenir sei mila cittadini ([Demostene], Orat[io] in Neaeram [89-90]).
Non bastava esser nato nella repubblica per esser cittadino. Bisognava che
uno de’ due genitori almeno fosse cittadino e che tutti e due fossero liberi.
L’adozione poteva anche dare la cittadinanza, quando il padre adottatore era
cittadino. Si sa con qual religione si conservava e si rivedeva dal prefetto di
ogni quartiere il ληξιαρχικòν γραµµατε®ον o sia il libro che conteneva i nomi
dei cittadini. Si sa anche quanto spaventevole fosse per gli Ateniesi l’accusa
detta τÎς ξενìας cioè dell’estraneità. Questa cadeva sopra quelli che si avevano
arrogati i dritti di cittadinanza. Se l’accusa costava, il reo era annoverato tra la
classe de’ servi e, come tale, venduto. Leggasi Polluce, lib. VII, I [9], e
Pottero, Archaelogiae Graecae, [cit.], lib. I, cap. IX [p. 44]. Sigonio ci dice che la
principale funzione di alcuni magistrati chiamati Äβριςοδικαι era d’istruirsi in
ogni mese del nome de’ figli de’ peregrini, per evitare che fossero ascritti alle
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- Page N°:91
- Publication:
- Author:Gaetano Filangieri